giovedì 10 giugno 2010

Dare latte


E’ presto, almeno per i canoni del mondo. Il cane abbaia, segnalando qualcuno al cancello. E’ anche giorno di festa. Qui non ci viene a trovare nessuno; fosse un giorno lavorativo potrebbe essere la forestale...insomma chi è?

E’ il massaro; riconosco la voce mentre viene con Alfonso dal cancello a casa. Che strano. Non abbiamo chiesto nè pane nè formaggi e non è il tipo da visite di cortesia.

Non so bene ancora che relazione abbiamo. Io sono grata a lui e alla sua famiglia per ciò che fanno. Fanno mangiare l’erba alle mucche. Passano le loro giornate qui in campagna; la casa del paese per i giorni di festa.

Che aspetto avrà la signora Maria, vestita col vestito della messa? Non riesco a immaginarle addosso null’altro che la sua vestaglia a fiori.

Parlerà agli ospiti, nelle riunioni di famiglia?Quando io vado su, riesco a strapparle a stento qualche monosillabo e pian piano sto imparando i ritmi del teatro di silenzi necessari a comunicare. Sembra che non senta quando domandi, continua a fare le sue cose.Poi mette da parte l’uovo appena fatto, ‘pu picciriddu’.

Gli uomini parlano di più, contenti che qualcuno abbia a cuore il destino della terra lì intorno e stupefatti allo stesso tempo. So che col tempo arriveranno a condividere i loro segreti così come la signora Maria ha accettato di condividere la crescenza con cui fa il pane.

Quando incontro persone così sono in difficoltà a mostrare la mia gratitudine. La prima volta che feci questo pensiero fu quando partorii. Ho pagato l’ostetrica ma mi sembrava che il denaro coprisse solo un aspetto della nostra ‘transazione’. Se lei non avesse scelto, unica nella nostra zona, di assistere ai parti a domicilio, in un contesto avverso,io forse non avrei potuto scegliere di percorrere quella strada (avrei potuto è vero spostarmi o partorire non assistita ma non erano scelte che mi sarebbero venute in mente a quel punto della strada.).

Così se pago una merce senza cuore, uguale a mille altre, penso che in cambio basti il denaro che copre materie prime e lavorazione, un prezzo equo certo, ma non mi preoccupo di più.

Ma se chi fa la ricotta che mangio ha dovuto fare una scelta inusuale alla base, se questa scelta non è quella della massa ed è difficile da mantenere, io mi sento di dover dire grazie anche in un altro modo.

Mi pesa assai non saper fare nulla. Non saper costruire, tessere, fare opere d’arte.Mi piacerebbe donare qualcosa di speciale a Roberta e Giampietro per il pane e tutto il resto e così a Felice quando ci ospitò e a molte altre persone conosciute e incontrate per la via.

Mi chiamano. Sono in casa. Il massaro, che a rigore è il figlio del massaro, ha un occhio così gonfio e rosso da non poterlo tenere aperto. Serve il mio aiuto. Presa alla sprovvista chiedo cosa posso fare.

“Latte materno.E’ l’unica in contrada che allatta”.

Già. L’ho letto mille volte su manuali e siti web. Ma sinceramente non ho mai pensato che ancora qualcuno sapesse, come un sapere naturale, che il latte materno è la miglior cura contro le congiuntiviti.

Assisto felice al miracolo di come poche gocce di latte agiscano immediatamente. Pochissime gocce, poichè non sono brava a mungermi e così, in questa situazione, sono anche un po’ nervosa (e mentre ci provo mi vengono in mente tutte le cose che so sul riflesso di eiezione e mentre lo penso mi dico ‘troppa neocorteccia non ce la farò mai’).

Più tardi nel pomeriggio ripeto l’operazione con calma silenzio e intimità e il mattino dopo mi presento alla masseria orgogliosa col bicchierino del mio prezioso “prodotto” che Arturo, da buon venditore, abbanìa subito a gran voce dal finestrino del furgone “Signooraaa!Le abbiamo portato il latteee”.

Ecco; qualcosa so fare: dare latte.

Micòl