domenica 17 gennaio 2010

15 Agosto 2009

...Nel primo pomeriggio, infatti, riprendono le contrazioni. Sono irregolari e lievi e io continuo a fare i fatti miei tranquillamente. Mi fermo un attimo per fare un bagno nella piscina col mio compagno che mi coccola seduto a lato. Voglio ‘preparare l’atmosfera’, cominciare a sintonizzarmi, ma nello stesso tempo non voglio ancora allertare nessuno, non voglio che inizi il tempo dell’attesa. Col parto di Arturo questo fu un fattore di disturbo. Lo sguardo ansioso a ogni contrazione, la premura del “come stai, cosa vuoi che faccia”. IGNORAMI!

Col senno di poi credo che invece avrei dovuto preparare un po’ più gradualmente StellArtù.Ero con lui, nel letto ad allattare, quando l’intensità si è fatta difficilmente sopportabile e così gli ho chiesto di chiedere a papà di preparare la piscina.[...] . E però, visto che di pomeriggio, dopo di me, si erano fatti il bagno anche papà e figlio, ci siamo trovati catapultati in un film in bianco e nero perché lo scaldabagno era scarico ed è cominciato un andirivieni di pentole messe a bollire sul fuoco. Non ce l’ho fatta ad aspettare che fosse piena e sono entrata. C’era tensione intorno, molta adrenalina. Mi sono concentrata su Artù perché non volevo che avesse un’impressione di sofferenza, così quando arrivavano le contrazioni badavo a vocalizzare sorridendo e questo ovviamente è stato di aiuto anche per me. Lui era dolcissimo. Visibilmente le emozioni a cui era sottoposto erano forti e si trattava di un attimo, di una disattenzione trasformare l’emozione-felicità in emozione-paura. Quando vocalizzavo mi chiedeva “Mamma ma sei felice?”. Io rispondevo “Sì perché sta nascendo Bebi” e a ogni respiro gli e mi ripetevo “che bello arriva!” “Ti aspettavamo!”. Così a un certo punto si è messo a saltare e battere le mani con un viso radioso dicendo “Che bello arriva Bebi” e mi ha buttato le braccia al collo e ha cominciato a baciarmi tutto il viso “come sei bella mamma così!”.

Poi c’è stato un momento di panico perché ho chiesto un CD e si è scoperto che il computer non lo leggeva così A. si è intestardito a cercare di far funzionare lo stereo rotto e a me dava fastidio che fosse distratto da me. Volevo tutti accanto. Mi sono arrabbiata e Artù si è spaventato. Sono uscita dalla piscina, l’ho preso in braccio e portato sul letto.

Lì mi sono messa a quattro zampe con A. che mi reggeva la testa e mi teneva una mano sulla schiena. La mia amica L.ha avuto la prontezza di mettersi a suonare lo djembè sostituendo così col ritmo del tamburo il rumore del mare che avevo chiesto. Penso che abbia cantato e suonato per un paio d’ore!

Nelle pause tra una contrazione e l’altra allattavo Artù che cominciava a essere un po’ nervoso e voleva essere rassicurato. A un certo punto ho potuto pensare solo a me. Era una situazione strana; non ero in stato alterato di coscienza ma avevo una specie di filtro rispetto a quello che succedeva fuori. Ho smesso di rispondere. Ho sentito L. che leggeva un libro di filastrocche. Non ho una percezione temporale esatta. So che ogni tanto coglievo aspetti di ciò che succedeva. Sentivo questa voce cantilenante e ho visto Artù assorto e tranquillo. Le filastrocche mi hanno aiutata almeno quanto il tamburo e sono anche felice che Artù abbia scelto di farsi leggere quelle. Sono poesie sulla nascita; vuol dire che era dentro all’evento e non lo fuggiva. A me, a parte il suono della voce, aiutavano le parole; sentire “Ecco il mondo bambino, ecco il bambino mondo” o “bella la mamma vista da fuori” mi aiutava a focalizzare il termine ultimo del dolore che stavo provando e mentalmente mi connettevo col mio bambino anziché concentrarmi sul dolore. Poi è arrivato il momento in cui Artù ha deciso che non voleva assistere oltre e si è addormentato. Contemporaneamente io ho sentito il bisogno di rientrare nella piscina che nel frattempo aveva guadagnato qualche grado centigrado.

Iniziavo a chiedermi quanto sarebbe durato. Ero stanca e mi sembrava che il tempo non passasse. Mi rispondevo da sola (tutto nella mia capa) che quando ti sembra di non farcela più vuol dire che sei quasi alla fine.

Mi sono abbandonata con la testa sul bordo della piscina pancia sotto e ho goduto del fatto che dovunque mi appoggiassi era tutto morbido. Non so le piscine per il parto in ospedale come sono. La mia è una piscina gonfiabile e ho provato una doppia sensazione di assenza di gravità e di sforzo, grazie all’acqua e grazie alla morbidezza. A. era seduto sulla poltrona vicino al bordo e mi sussurrava cose del tipo “apri” “scivola” e raccontava di balene nell’oceano e poi parole che non avevano un senso compiuto, solo un susseguirsi di suoni dolci e fluidi che io seguivo ipnotizzata. È stato come fare l'amore. Così come è stato concepito, questo bimbo, nello stesso modo viene alla luce. Non saremmo stati così disinibiti in presenza di un'ostetrica. Seguendo il flusso visualizzavo i miei muscoli che si rilassavano. Nonostante questo mi sentivo chiusa. Avevo la percezione che fosse ora di sentire la testa ma quando arrivava una contrazione affiorava dentro di me un “Non voglio” che ho impiegato un po’ a smascherare. Mi aprivo fino a un certo punto poi scattava qualcosa che mi irrigidiva. Ho avuto un lampo di pensieri “cattivi” tipo “e se c’è qualcosa che gli impedisce di uscire? Nessuno di noi tre ha la competenza di capirlo. Se ci fosse O. (l’ostetrica con cui ho partorito Artù) me lo saprebbe dire” e subito mi sono censurata “io lo so meglio di tutti che tutto va bene”; “voglio tornare indietro, non voglio affrontare questa prova” e subito “l’unico modo per uscirne è andare avanti con tranquillità”. Ho capito che il mio corpo aveva memorizzato il dolore che provai nel parto precedente quando mi lacerai e quello mi inibiva. Ho cominciato a massaggiarmi il perineo e “compatirmi”, non so come spiegarlo, a pensare di volermi bene, a rassicurarmi, tutto in modo molto corporeo e a quel punto ho sentito affiorare la testa fra le mani. Non l’ho sentita scendere, me la sono trovata lì e l’ho accarezzata pensando però che non sapevo come fare a farla passare tutta. Avevo anche lo stimolo di fare cacca e questo mi faceva chiudere. Ma è stato un attimo, ho pensato che l’unica cosa che potevo fare era andare avanti così mi sono lasciata andare. Ho sentito tutta la testolina in mano e l’ho accarezzata per un tempo che mi è sembrato lunghissimo. Poi le spalle e un’altra pausa. Tutto molto lento. Non posso non pensare a tutte quelle manovre che fanno, girare la testa, mettere il dito sotto l’ascella e tirare, per “aiutare a nascere i bambini”. Che follia. Non c’è bisogno di nessun aiuto e non c’è nessuna spinta. Vorrei sapere chi è stato il primo a dire a una donna “spingi”. Non c’è nulla da spingere; l’utero fa il suo lavoro con le contrazioni e tutto avviene spontaneamente con dei tempi che sono completamente diversi da quelli normalmente imposti. Le gambe erano ancora dentro quando A. si è sporto sul bordo e io ho avuto l’impressione che volesse intervenire. Così gli ho intimato di star fermo e il bimbo è uscito del tutto. Mi sono girata l’ho preso e poggiato sulla mia pancia. Lo guardavo e accarezzavo e intanto lui, con estrema competenza, pian pianino si è fatto strada fino alla tetta. Un breastcrawling da manuale! L’acqua iniziava a essere fredda così sono uscita per andare sul letto. Sensazione di onnipotenza e benessere totale. A quel punto mi sono ricordata di controllare se era maschio o femmina! Dopo pochi minuti ho partorito la placenta, l’abbiamo lavata e messa in una bacinella e poi siamo andati a nanna.