lunedì 30 settembre 2013

Educazione pregiudizievole

Una bella foto di mio figlio mi saluta stamattina dal web. Un “fotografo dilettante,giornalista professionista”,come Sebastiano si definisce nella sua pagina, lo ha immortalato ieri alla manifestazione di Palermo mentre sventolava la bandiera NoMuos. Al vederla sorrido, ricordando l’entusiasmo che Artù aveva nello sventolare e nel fare sentire la sua voce. Ma, una frazione di secondo dopo, un altro sentimento mi pervade: mi sento vulnerabile. Mi viene in mente la dicitura “educazione pregiudizievole” con cui è stato etichettato il cammino che una cara amica condivide con suo figlio. E mi torna il desiderio ,che mi  ha seguito in questi mesi di viaggi e vagabondaggi, di nascondermi, di farmi Carbonara.
Mi torna in mente quando ai giardinetti qualcuno ha chiamato i vigili urbani perché Arturo e Cosimo giocavano scalzi; rivivo nel ricordo le avventure della mia compagna di viaggio a cui hanno minacciato di levare la patria potestà della figlia per averla portata a campeggiare nella natura, in un posto ‘senza infrastrutture’; risento la voce del carabiniere che a Nicosia, fermato il nostro furgoncino ‘per un controllo’, sussurra al collega “E se questi bambini fossero rapiti?” e che, quando faccio notare che stiamo semplicemente in vacanza, mi rivolge sprezzante un “Ah! perché, lavori?”. Non è pregiudizievole dare del tu a una donna di 40 anni, con due figli, basandosi sul mezzo di trasporto, gli abiti, i volti dei compagni di viaggio?
Quando cammino per Piazza Duomo tutti mi danno del Lei e non mettono in dubbio il legame materno con i miei figli.
Ho messo al mondo Arturo e Cosimo nell’ambiente sereno e sicuro della loro casa, li ho  allattati a richiesta, li ho integrati in tutti gli aspetti della nostra vita da sempre e mi occupo ,insieme al padre e a tutta la comunità, della loro istruzione che giudico parte integrante dell’educazione e quindi di competenza familiare.I miei figli vivono i valori della mia famiglia.E questo viene considerato pregiudizievole.

Ho visto bambini di al massimo 8 anni essere a proprio agio la domenica in un centro commerciale, occupare il loro tempo passando da un rivenditore di telefonini all’altro,disquisire con competenza di tutte le caratteristiche di ogni apparecchio e sedarsi infine di fronte a un IPad (si scriverà così? ) in prova, felicemente inebetiti. Forse fanno così ogni domenica. Non è educazione pregiudizievole? Certo. Ogni famiglia trasmette i propri valori, le proprie abitudini ,competenze,credenze;  i bambini ci vedono vivere anche quando non ce ne accorgiamo.
Insegnare a un bimbo a camminare con le scarpe, a farsi il segno della croce, a non arrampicarsi sugli alberi se no cade, a non correre se no gli viene il raffreddore, a non giocare nel fango se no si sporca, a mangiare le merendine della Nestlè, a mangiare la carne, a non salire sullo scivolo partendo dal basso, a non contraddire  la maestra, a obbedire….tutto questo è pregiudizievole.
Si basa sul giudizio,personale come ogni giudizio,del precettore. Il quale però, nella nostra società,ha la sorte di essere accompagnato da milioni di individui che condividono questo PRE- giudizio e quindi si sente autorizzato a definirsi GIUSTO. E a usare l’indicativo. Non si cammina a piedi scalzi. Ipse dixit.
Ecco forse è solo una questione grammaticale …J Il cuore del problema sta nell’indicativo, il tempo della certezza. Sta nel far credere ai nostri figli che non c’è scelta , che… ‘altrimenti ci arrabbiamo’.
Chissà se il bambino del centro commerciale sa che potrebbe aver voglia di fare le corse con i carrelli dentro al supermercato ,come i miei figli; chissà se glielo permetterebbero,chissà se è più libero lui di fare ciò che fanno tutti o i miei bimbi che vivono cose diverse ma provano anche L’Ipad (quando lui lo molla!).
Credo che le più grandi soddisfazioni educative si hanno quando riusciamo a ricordarci di avere di fronte non reclute da addestrare ma persone con i propri gusti, sentimenti, paure e idee. Sì anche un bambino di 7 anni ha le sue idee personali, spesso più nobili delle nostre e ascoltarle è un dono.
Ieri durante il corteo, Artù mi ha mostrato un poliziotto che sorrideva e mi ha detto .”Gli ho fatto il saluto così (mima con la mano il saluto militare,n.d.a.)e mi ha sorriso.Perchè sai, mamma, io sono NoMuos, ma rispetto tutti”.
Rispettarli perché imparino a rispettare.
E comunque resta il fatto che se anche queste mie elucubrazioni possano convincere qualche sparuto lettore delle mie chiacchere, resta il fatto che noi mamme sole e controcorrente restiamo vulnerabili e l’educazione dei figli è il terreno su cui si gioca, ahimè, il bracciodiferro che ‘gli altri’ attuano per farci rientrare nei ranghi.

Tutti in fila per tre.

3 commenti:

Unknown ha detto...

E' BELLISSIMO MICOL, MI PIACEREBBE TANTO POTER VEDERE LA FOTO DEL TUO ARTU'!!! :)

Failù ha detto...

Ho letto il suo post diverso tempo fa, linkato da un'amica su fb. Ci ho pensato tanto e non posso fare a meno di dire la mia. Posto che l'educazione è piena di pregiudizi (da una parte e dall'altra, perchè non mi dica che anche lei non ha pregiudizi)secondo me, e lo dico con cognizione di causa visto che ho due bambini di 4 e 6 anni, non c'è una educazione giusta e una sbagliata purchè le cose vengano fatte con un po' di buonsenso, di rispetto e di buongusto. Mi è rimasto impresso il punto in cui lei lamenta la visione dei bambini di otto anni che discorrono di cellulari o di Ipad (mi domando come faccia a non sapere come si scrive ipad se gestisce un blog!)nel centro commerciale...fanno paura anche a me questi bambini! Ma allo stesso modo ritengo discutibile che lei permetta ai suoi figli di fare le corse in mezzo al supermercato con il carrello in nome della libertà dei suoi figli. La libertà di un individuo, ma immagino che lei lo sappia, si ferma dove inizia quella degli altri. Al supermercato ci sono persone che lavorano, cose che si rompono e vecchini che a malapena si reggono in piedi e trovo che sarebbe più educato portare i bambini ai giardinetti o agli autoscontri. Poi, detto questo, non sarei certo io a chiamare i carabinieri perchè due bambini camminano scalzi ai giardini, ma se mi permette sicuramente penserei "ma non ce l'hanno una madre 'sti bambini?". Non so dove vive lei, signora, ma nei giardinetti dietro casa mia (in un quartiere popolare di periferia di Firenze) ci sono più cacche di cani, vetri di bottiglia e porcherie varie che fili d'erba. Poi pensa davvero che farli camminare scalzi, NON fargli mangiare la merendina della Nestlè o del Mulino Bianco, non mandarli a scuola per non essere costretti a ubbidire alla maestra, li renda davvero liberi? Francamente mi sono sentita un po' offesa perchè sotto le righe che scrive quasi da vittima (lei e le sue amiche) di innumerevoli pregiudizi emergono tanti più preconcetti che io, mamma normale, non ho.
Saluti
Camilla

Claudio ha detto...

Per Failù: "Normale": essere nella norma. Questo concetto di normalità fa paura. Davvero vogliamo vivere una vita normale? Una vita in funzione del l'accettazione degli altri? Se gli altri mi dicono che vado bene allora mi sento a posto con me stesso e quindi accettato e accolto nella società... Bene! Ora mi sento nella norma. Mi sento normale.
Peccato! Perché se avessi un piccolo desiderio "fuori norma" rischieresti di sentirti "speciale". Ma non sia mai! Dopo come farai a sopportare gli sguardi di disapprovazione degli altri?! Come farai a rientrare nella calda ed accogliente società, quella che ti apre le braccia solo se vivi nella sua "normalità",... va beh... un po' maleodorante, un po' strafottente, molto incurante, menefreghista e opportunista, ma pur sempre desiderosa di te e pure ammaliante con tutte le sue attrazioni e distrazioni e poi è così brava ad insegnarci a non curarci diventando dolcemente insensibili a tutte le contraddizioni interne ...i conflitti sociali, gli avvelenamenti ambientali, culturali, relazionali...
Ci siamo dentro, lo sappiamo che ci sono tante cose che non vanno, ma siamo stati addestrati a pensare che non possiamo farci niente e che il problema non ci riguarda da vicino e non tocca la nostra sfera personale, come una precisa responsabilità... Ci sono altri che devono occuparsene... e così viviamo lontani dal nostro mondo e dal contatto vero con la nostra vita e con la bellezza di essere vivi. Tutto in nome di una normalità confortante e... in fin dei conti, confortevole.