venerdì 31 ottobre 2008

Scuola Familiare

In attesa di trovare il tempo di tradurre il resto dell'articolo della Aldort vi metto a parte dell'esistenza di una rete di genitori che praticano scuola familiare (in Italia è obbligatoria l'istruzione, non la frequenza scolastica).questo il resoconto del primo incontro ufficiale a cui ne seguirà un altro a fine dicembre in Toscana.Se qualcuno è interessato mi faccia sapere.


SCUOLA FAMILIARE – Resoconto dell’incontro

La Casotta, Nibbiano – Pecorara – Casa Perotti, 2 Agosto 2008

Sulla terrazza coperta ricavata da un vecchio fienile, con lo sguardo aperto sulle colline piacentine, un gruppo di famiglie si è riunito, all’inizio di agosto, per discutere sul tema della “scuola familiare”. L’incontro è nato dall’esigenza di confrontarsi, di ascoltare le esperienze in corso o già portate a termine, e di raccogliere le opinioni di tutti quelli che si erano dichiarati interessati all’argomento, attraverso i contatti raccolti via mail.

Già dal primo cerchio di presentazione – che si è deciso di estendere anche agli assenti, avvalendosi della posta tradizionale o elettronica – si sono messi in luce alcuni bisogni essenziali che la scelta della scuola familiare – o di qualsiasi altra forma d’impegno diretto nell’educazione dei propri figli da parte dei genitori – di fatto consente di soddisfare.

Sin dall’inizio Susanna – che frequenta la quinta in una multi-classe di una scuola di montagna – ci ha segnalato, ad esempio, le sue difficoltà a imparare “i metodi di apprendimento” prestabiliti e in varie forme imposti dalla maestra,– tecniche, riassunti, schemi, scalette, diagrammi, ecc. –piuttosto che la difficoltà di “mandar giù nozioni” che ancora non riesce a sentire come “inutili” o potenzialmente dannose.

Le dichiarazioni di Susanna hanno dato lo spunto al gruppo per chiarire, attraverso la discussione, che:

-      la scuola familiare dovrebbe essere un modo per lasciare ai bambini libera scelta e che le regole di organizzazione del loro “tempo di istruzione” siano in qualche modo decise insieme a loro e non imposte, organizzate dall’alto (nella prospettiva delle esperienze di Neill a Summer Hill);

-      la scuola familiare è un modo di assecondare i bisogni dei bambini al di fuori della logica rigida di classificazione dei compiti di apprendimento per età (imparare a leggere entro i sei anni, a far di conto entro i sette, a esprimersi in italiano entro gli otto, e così via);

-      la scuola familiare non dovrebbe essere “solo” una forma di “ripetizione” del modello di istruzione “canonico” attuata tra le mura domestiche, messa in atto da operatori momentaneamente prestati allo scopo (genitori o altri precettori più o meno “occasionali” più o meno professionali) secondo la logica del testo di legge che vuole infatti accertare, con l’esame annuale, le competenze dei genitori ad impartire l’istru zione obbligatoria ai propri figli;

-      la scuola familiare non è riducibile ad una questione di scelta di metodi, regole o tecniche alternativi alla logica dell’alternarsi di compiti – assegnati in forme rigide – e premi/punizioni – decisi in modo sempre arbitrario;

-      la scuola familiare non è riducibile alla messa in discussione (in crisi, in dubbio…) o alla revisione sistematica (e a qualsiasi altra forma di rielaborazione specialistica) del corpus di saperi comunque istituzionalizzato (che sia il programma ministeriale, il palinsesto della tv, la Bibbia o qualsiasi altra raccolta di testi “sacri”…) che si da “per scontato” sia alla base del processo di “educazione” che si intende mettere in atto.

Riassunto in uno slogan, la Scuola Familiare non si riduce all’alternativa tra Un-Schooling e Home Schooling (Claudio).

Non a caso, una delle motivazioni forti emerse nello scambio dialogico tra le famiglie presenti all’incontro de La Casotta, è la necessità di difendersi dalla omologazione, dalla distruzione della specificità del messaggio culturale locale, tribale, familiare all’interno del marasma relativistico e consumistico della cultura di massa. Questo timore è alla base di quasi tutti i diversi approcci presentati e accomuna le diverse attese espresse, anche quando queste ultime riguardavano gli aspetti meramente tecnici connessi alla scuola familiare – tipo: sono insegnante e/ma voglio imparare a fare scuola familiare…

A questo timore potrebbe rispondere una scuola familiare che sia una forma di scambio multifamiliare, una sorta di “mercatino delle idee”, della creatività, uno spazio dello scambio libero e, perciò, necessariamente creativo.

Tutti si sono dichiarati convinti, con Clara espressamente citata da Chiara, che per fare scuola familiare “è necessario avere una vita interessante e del tempo libero”. Il bambino, infatti, non dovrebbe essere il “centro” della vita familiare, il nucleo che ne assorbe tutte le energie e che va “protetto” dalle influenze esterne. Dovrebbe bensì esserne “il motore”, cioè la spinta propulsiva delle scelte di vita dei genitori che lo coinvolgeranno a pieno in tutte le loro esperienze di vita. Esperienze che saranno, perciò, “naturalmente interessanti” e qualificanti l’apprendimento del bambino senza che intenzionalmente i genitori ne determinino in qualche misura gli orientamenti e gli apprendimenti – ora ti insegno a cucinare i fagioli piuttosto che a fare gli aeroplanini di carta…

Si è giunti a sostenere che l’aspetto di “naturalità” della scelta della scuola familiare dovrebbe, infatti, risiedere in quest’atteggiamento non impositivo – non impongo a mio figlio di fare una vita alternativa perché penso che questo sia un bene per lui – ma propositivo – viviamo insieme questa esperienza, io ascolto i tuoi bisogni, le tue risposte e attraverso un feedback, anche e soprattutto emotivo, ri-oriento il mio comportamento in una direzione piuttosto che in un’altra.

La scuola familiare può essere intesa, in questa prospettiva, come un corollario “naturalmente conseguente” alla scelta del contatto continuo, come ha proposto Alfonso, del portare i piccoli, di non separarli mai dalla vita degli adulti in nome dei loro presunti bisogni di socializzazione autonoma.

Bisogna, infatti, fare molta chiarezza “interiore” quando si parla di “bisogno di socializzazione” o di “necessità di imparare a socializzare” da parte del bambino. Bisogna, cioè che ci chiariamo: si tratta del nostro desiderio che il bambino impari, o del nostro timore che non impari, a socializzare, e che quindi, resti escluso, che tenda a “fare il solitario”, ecc? Che cosa ci impedisce di scegliere la scuola familiare? Il nostro bisogno che nostro figlio impari il più presto possibile a esercitare su di sé l’autocontrollo per entrare in relazione con persone che non ha scelto, per adattarsi coercitivamente ad un sistema che non comprende, e così via? Non dobbiamo trascurare però il fatto che di tutti questi sforzi di adattamento imposti a nostro figlio, noi genitori siamo responsabili e dovremo, prima o poi, rendergli conto in prima persona – non vale l’argomento: il mondo è così com’è e tu lo impari punto e basta, gli devo offrire anche il mio perché, tendendo conto che il suo comportamento conseguente sarà probabilmente l’adesione a un nostro consiglio, invito, imposizione piuttosto che una sua libera scelta.

Questa esigenza di preservare le facoltà di scelta del bambino, considerandolo a pieno titolo una “persona” e non un “minore” dovrebbe portare, come ha sostenuto Ruggero, a rispondere alle varie “circolari” del Ministero e in particolare all’ultima (che impone l’esame annuale n.d.r.) presentandosi come interlocutori qualificati – sulla base delle esperienze portate a termine – e non solo ideologicamente contrari a una scuola di Stato, a una scuola troppo succube alle logiche del consumismo e del conformismo, alla Scuola come unica struttura rituale in cui hanno luogo i “riti di passaggio”, di accettazione relazionale e di appartenenza sociale.

La discussione ha portato in luce una serie di timori diffusi circa il senso di inadeguatezza o la paura dei genitori di “non dare abbastanza” ai propri figli attraverso la scuola familiare – in termini di saperi necessari o minimi o istituzionali – anche in relazione al proprio vissuto di scolari non sempre ben integrati o esplicitamente ribelli. A tal proposito, Silvia ha proposto di considerare attentamente quanto sostiene Etain, che consiglia i genitori impegnati in una relazione continua con i propri figli a segnare, a fine giornata, su di un quaderno, tutto quello che si è fatto insieme durante il giorno, per poi scoprire quanto grande sia il patrimonio di conoscenze trasmesso quotidianamente e quanto vasto sia potenzialmente il programma degli argomenti effettivamente trattati da un bambino “seguito”, anche in confronto ai cosiddetti programmi ministeriali… che sono invece solo formalmente portati a termine da una classe ordinaria di scuola dell’obbligo.

In questo senso, Alfonso ha proposto che la discussione e il confronto con le Istituzioni sullo status della scuola familiare andrebbe quindi estesa o canalizzata nel dibattito sul valore legale del titolo di studio che in Italia di fatto blocca tanti aspetti della vita scolastica – l’autonomia, la personalizzazione dei percorsi formativi, la libertà dell’insegnamento, la ricerca pedagogica, ecc.

La contraddizione è, come ha sottolineato Annalisa, palese: se non ci importa nulla della scuola istituzionale perché dovrebbe importarci qualcosa dell’esito dell’esame? Quindi perché preoccuparsi se l’esame di accertamento dell’operato dei genitori che optano per la scuola familiare – secondo gli attuali orientamenti di legge – passa dalla cadenza ciclica (alla fine del ciclo delle elementari, alla fine dal ciclo delle medie, ecc.) alla cadenza annuale (sic! Vedi testo della circolare ….)?

Se nostro figlio non dovesse superare l’esame noi genitori non rischiamo nulla: né sanzioni né riduzioni della patria potestà. Solo il non conseguimento del titolo di studio: l’obbligo di istruzione lo si considera comunque assolto dalla nostra dichiarazione in cui ci assumiamo la responsabilità dell’educazione di nostro figlio secondo la modalità, prevista dalla legge, della scuola familiare.

 A un eventuale insuccesso potrebbe eventualmente seguire, l’anno successivo, la necessità (ma non necessariamente l’obbligo, almeno per ora!) di sottoporsi a una “doppia verifica” (o anche solo alla semplice ripetizione di quella non superata…) e questo in funzione delle ansie da prestazione dei genitori: cioè se e solo se i genitori desiderino “tenere al passo” il proprio figlio con i coetanei frequentanti la scuola dell’obbligo… oppure lasciarlo libero di scegliere se e quando superare le prove corrispondenti ai diversi gradi di svolgimento dei famosi programmi ministeriali…

Bisogna tuttavia essere sempre “attivi” e vigili per evitare che nel rapporto con le istituzioni, alcune determinate persone – cioè insegnanti, dirigenti o “verificatori” a vario titolo – non preparate o ideologicamente contrarie a qualsiasi forma di deroga dai cammini istituzionalmente previsti, si accaniscano contro il bambino, torturandolo psicologicamente o semplicemente non ascoltandolo, come ha riferito Christine a proposito dell’esperienza di suo figlio Johannes.

Di fatto dall’ascolto delle esperienze portate avanti sino a oggi, è emerso quanto sia piuttosto frequente che, a fronte di una formale disponibilità ad accettare l’allievo “esterno”, molte strutture scolastiche siano, di fatto, totalmente non attrezzate a gestirlo, sia in termini relazionali sia in termini genericamente culturali, per cui non sono infrequenti, purtroppo, i casi di comportamenti che ancorché illeciti – esami a porte chiuse, accanimento su argomenti o schemi logici tipicamente scolastici, svalutazione degli elaborati autonomamente presentati a documentazione dei percorsi formativi e/o educativi svolti – sono gravemente lesivi della dignità del bambino.

Da qui la necessità, sottolineata da Chiara, di tenere strettamente unito e in contatto continuo il gruppo degli operatori della scelta della scuola familiare, anche attraverso incontri come questo de La Casotta, sia per proteggere i bambini da comportamenti vessatori sia per movimentare la discussione a livello sempre più pervasivo degli apparati istituzionali.

Silvia ritiene che sia il caso di “affrontare l’esame” quando ci si sente pronti a mettersi in discussione: l’esame potrebbe essere uno dei tanti modi per evitare il rischio di mettere i propri figli “sotto una campana di vetro”, per favorire il confronto, per affermare “questo è il modo di vivere nostro”, presentarlo ai bambini come una presentazione verso l’esterno, cercando di essere “elastici” nell’accoglierne l’esito…

A molti sembra necessario preservare il concetto di “educazione” rispetto a quello di “esperienza”: chi fa scuola familiare non vuole solo ridurre tutto alle esperienze del quotidiano vuole anche trasmettere una cultura, una delle forme di cultura di cui la scuola pubblica non garantisce “più” la trasmissione – sapere contadino, artigiano, religioso-spirituale, magico, sentimentale, emozionale – nonché un diverso rapporto adulto-bambino basato sul rispetto reciproco, su un reale rispetto ascolto bilaterale e mutuamente vantaggioso.

Molto interesse ha suscitato l’esperienza di Loredana che ha iscritto la figlia ad una scuola “normale” con l’obbligo di frequentarla solo una settimana al mese, con grande elasticità di valutazione e di attestazione da parte dell’istituzione in merito alla effettiva frequenza e al lavoro svolto autonomamente dalla famiglia durante le settimane di scuola “familiare”. Anche se si tratta di una scuola particolarmente “attrezzata” – ha “gestito” i bambini degli Elfi per circa un ventennio, con diverse modalità e secondo diversi “accordi” – il modello proposto è sembrato a molti “esportabile” almeno presso le scuole presenti in piccoli centri con problemi di numero di iscritti.

Anche l’esperienza di Jacqueline ha suscitato notevole interesse: la sua famiglia ha due bambine iscritte alla scuola ordinaria, che frequentano regolarmente, mentre al pomeriggio, alla sera o durante le festività e le vacanze, svolgono attività creative o esperienze lavorative con i genitori, portate avanti senza imposizioni con il criterio della libera scelta da parte del bambino e dell’educazione fra pari adulto-bambino (o qualunque altro purché non ripeta lo schema duale maestro-allievo già sperimentato a scuola). Inoltre le bambine com-partecipano alle esperienze relazionali degli adulti che le selezionano in base a vari criteri di opportunità, ricreatività, piacevolezza…

Ascoltando le esperienze dalla voce dei bambini viene fuori che la scuola non piace perché “bisogna alzarsi presto”, perché i bimbi della scuola sono ostili, ti prendono in giro o fanno cose inutili e ripetitive. Ma è da apprezzare perché se non la frequenti rischi di avere pochi amici. E se ti prendono in giro puoi sempre fartelo entrare da un parte e uscire da quell’altra… le loro opinioni sembrano dunque confermare che gli aspetti più “difficili” della scuola ordinaria sono la rigidezza dell’organizzazione – che non può tenere conto delle esigenze o dei desideri dei singoli bambini – e le dinamiche relazionali imposte dalla stessa organizzazione a gruppi di bambini che non si scelgono in base a reciproche affinità o interessi ma si trovano obbligati a stare lì tutti insieme.

Dall’ascolto delle esperienze, anche indirette, si è maturato il convincimento unanime che sia necessario confrontare gli stili di vita che pratichiamo per capire come avviare pratiche di mutuo sostegno, oltre che di comprensione/conoscenza.

Non a caso si è accesa una discussione sulla definizione “terminologica” di Scuola familiare, chiedendosi perché familiare (in opposizione a pubblica/sociale)? C’è qualcuno che la chiama parentale (che potrebbe essere solo una cattiva traduzione dall’inglese…) o addirittura paterna (in opposizione a materna, viene da supporre…). Claudio ha proposto il termine apprendimento continuo, altri hanno sottolineato il valore di parole come conoscenzaautonomia ed educazione che sarebbe comunque il caso di mettere in evidenza.

Ciò che è apparso evidente, è che a tutti sta stretta essenzialmente la nozione di scuola, che evoca comunque l’idea di un sistema, più che quella di un processo… mentre ciò di cui si è andati discutendo è appunto questo: un processo. Che coinvolga persone, genitori e bambini, piccoli gruppi o intere comunità. Che sia di apprendimento o di educazione – che, come ricorda Annalisa, viene dal latino ex ducere che vuol dire guidare, portare fuori – poco importa. Che sia una costellazione di esperienze e di nozioni sembra quasi scontato e forse inevitabile. Ma che sia un processo, una pratica comune messa in atto da tutti i partecipanti, dove nessuno è soggetto passivo di nessun altro, dove le decisioni sono condivise e le scelte comuni, e non un sistema dato una volta e per tutti. Alfonso ha proposto una “metafora idraulica”: l’educazione è il sistema (qualunque sistema) per travasare la cultura-liquido dal recipiente collettivo istituzionale al recipiente cerebrale individuale. Tutto sta nel capire chi manovra il rubinetto!


 


 

 

mercoledì 29 ottobre 2008

Meravigliosi gli anni dei primi passi -parte 1


Premessa: ci sono due parole che in inglese sono esaustive e rendono molto bene l’idea di ciò che descrivono ma che in italiano io non so tradurre e sono ‘bonding’ e ‘attachment’. Letteralmente sarebbero qualcosa tipo ‘legame ‘ed ‘attaccamento’ che in italiano sono un po’ bruttini e non rendono l’idea (forse anche perché nella nostra cultura a queste parole si dà una accezione piuttosto negativa, quasi una debolezza…chissà). Si tratta dello stretto legame emotivo affettivo intuitivo che si crea tra genitori e bimbi se nella relazione si privilegiano il contatto fisico e l’ascolto e il rispetto dei bisogni del bambino (partorire indisturbati, non essere separati dalla madre, essere portati addosso, in braccio o con una fasci, dormire insieme, allattare al seno a richiesta…)…io le ho lasciate bruttine così quando non ho trovato perifrasi adatte…accontentatevi.

 

Naomi Aldort celebra i meravigliosi primi passi – The Mother n.30 sett/ott 2008

 

Come neonati sembrano angelici, poi, un giorno, il mostro esce dal sacco. Spesso i genitori mi chiamano, perplessi e confusi: “Ho fatto tutto correttamente” dice una mamma, “Jimmy è nato in modo pacifico, è ancora allattato a richiesta, dorme con me, e l’ho portato tutto il tempo…come mai è così difficile ora a (2, 3, 4 anni)?”.

Ciò che accade è il meraviglioso risultato di una relazione di fiducia e di un legame profondo incoraggiato da un salutare attaccamento. Il bambino ora si fida di te assolutamente, e in questa fiducia dà per sconato giustamente che tu sei dalla sua parte e che lui è sicuro, e benvenuto se spiega le sue ali. Il modo in cui i piccoli uomini spiegano le loro ali, comunque, non sempre conviene agli adulti, ed è qui che iniziano i problemi.

Non è conveniente quando il bimbo ci sbava addosso, ci bagna, impiastriccia il pavimento col cibo, o si sveglia sette volte in una notte – tuttavia nella nosta fiducia che questi siano suoi bisogni e nel nostro impegno nell’accudimento con attaccamento, li accettiamo con amore e senza giudizi. La transizione da un bambino indifeso ad uno che si muove automomamente e che si sta rendendo consapevole di sé, può essere fuorviante, e molti genitori erronaeamente in questo momento cambiano approccio. Essi spostano la loro attitudine dalla totale fiducia e accetazione, a una di insegnamenti e battaglie.

Un padre mi confessò che si pentiva dell’approccio ‘con attaccamento’ che lui e sua moglie avevano messoin pratica con la loro figlia. A quattro anni lei era ‘sfrenata ed esigente’, mentre il bimbo dei loro amici è così ‘collaborativo’, e quel bimbo era cresciuto con un passeggino e con la babysitter.

Dal momento che ricevo questa notiza molte volte, da diversi genitori, non posso dire che si tratta solo di una differenza nella personalità del bambino. La domanda è: l’altro bambino è davvero collaborativo, o è solo più obbediente e rassegnato?D’altro canto il nostro bimbo che ha sperimentato fiducia e attaccamento è davvero sfrenato e esigente o piuttosto molto vitale e autorevole?

 E se la mia assunzione è valida, allora la difficoltà non è nel bambino, ma in noi, i genitori. Forse ciò che ci serve è un’estensione dell’attitudine dell’attaccamento, con tutta la fiducia e il riconoscimento che ne seguono, per molti più anni.


 Il resto la prossima puntata .

per chi volesse andare a vedere chi è l'autrice www.NaomiAldort.com oppure www.AuthenticParent.com

lunedì 27 ottobre 2008

Muore dopo cesareo

Una curiosità così...non se ne parla mai...sui 'rischi' che una donna corre col parto fisiologico si riempono pagine e pagine e mi sono chiesta....ma ci sarà qualcosa sui rischi derivanti da una operazione chirurgica stra - abusata? ho fatto una ricerca su Google inserendo 'muore dopo cesareo'. Fatelo e leggete. Poi incazzatevi perchè comunque si scrive 'donna muore di parto' o 'era stata fatta una anestesia totale perchè la donna non era collaborativa'. Animali che vanno al macello, non donne.

Tatto contatto

Corso di massaggio al bambino per conservare la relazione tattile nella relazione madre/bambino a cura di associazione Terrapraena - via ventaglieri 77 per info : terrapraena@yahoo.it oppurre cell.3351721875

domenica 19 ottobre 2008

Lasciare che sia


‘The Mother’ è un giornale fantastico ma purtroppo in inglese e molte delle mie amiche non leggono tale lingua. Così per poter fare la nostra strada insieme abbiamo deciso che proverò a tradurre alcun i degli scritti più salienti (dal nostro personalissimo punto di vista). Per motivi di tempo, di spazio e di limiti della mia conoscenza della lingua le traduzioni non saranno integrali ma credo di riuscire a conservare il senso. E visto che il lavoro viene fatto, perché non condividerlo con altre?

Spero che gli autori non me ne vogliano (si deve chiedere il permesso?).

‘The Mother’ è contro le ostetriche?

 Veronika Robinson- The Mother n.°2 pag.5 (estate 2002)

 

[…]Il parto è di responsabilità della DONNA, non di chi si prende cura di lei.Un’ostetrica invitata al parto di una donna deve essere presente come una custode.

The Mother non è contro le ostetriche, ma denunceremo quelle ostetriche che tiranneggiano o maltrattano le donne. Denunceremo quelle pratiche o politiche ostetriche che minacciano la capacità della donna di partorire nel modo in cui sceglie. Non credete che un’ostetrica debba trattare una donna in gravidanza o che sta partorendo con almeno un po’ di rispetto?Bè, fortunatamente la maggioranza tratta bene le donne. Comunque, vi sono alcune ostetriche che abusano delle donne di cui si dovrebbero prendere cura. Abusano di loro fisicamente, emotivamente, mentalmente e spiritualmente. Ciò non è accettabile a nessun livello e per nessuna ragione!

In ogni professione ci saranno sempre le mele marce, per così dire, che danneggiano l’immagine degli altri nel loro campo. Noi dobbiamo essere molto chiari sul fatto che l’ostetricia non è solo una professione. E’ una chiamata. E’, infatti, un onore dei più alti essere invitate alla nascita e all’arrivo di una nuova anima sul pianeta terra.

Se l’ego di un’ostetrica è così insano, da avere bisogno di esercitare un controllo totale sulla situazione, per impersonare il ruolo simbolico della ‘salvatrice’, allora si dovrebbe interrogare sul perché ha scelto il sentiero dell’ostetricia. E dovrebbe abbandonarlo e far spazio alle aspiranti ostetriche che posseggono empatia, integrità ed onestà. Ostetrica (midwife . inglese…la traduzione non rende sul termine in italiano)significa ‘con la donna’. Non significa ‘che controlla la donna’. Non significa ‘ io devo far nascere ogni bambino’. Non significa ‘tu devi fare come dico io!’. E certamente non significa prenotare di nascosto una donna per un parto in ospedale quando ha richiesto un parto in casa. E non significa forzare una donna che partorisce in casa a dirigersi in ospedale perché è in travaglio già da un po’.

Al momento in cui scrivo, ci sono donne in Gran Bretagna che hanno e hanno avuto intimidazioni da ostetriche che, odio dirlo, agiscono come ho descritto sopra.

Alcune partorienti hanno fatto ciò che gli è stato detto di fare. Altre hanno optato per una nascita non assistita. Non è illegale farlo. Perché allora una donna, fresca di parto col suo bimbo fra le braccia, deve essere indagata dalla polizia e dall’assistenza sociale, senza alcun preavviso, per ‘non – conformità’(alle regole…per non avere obbedito n.d.t.)?

Perché deve affrontare la sorveglianza del dipartimento di salute mentale e demonizzata come genitore che maltratta il proprio figlio se ha appena scelto ciò che c’è di meglio per lui/lei? QUESTO STA SUCCEDENDO IN INGHILTERRA!

[…]

Il nostro lavoro non è quello di condannare le donne per il tipo di parto che scelgono ma incoraggiare OGNUNO a onorare la sacralità della nascita e trattare il bimbo appena nato e la madre con il massimo rispetto, onore e dignità.

[…]

Lo splendore di Ruth si manifestava nel suo silenzio; la sua energia che si rifletteva e la sua abilità di lasciare soltanto che io andassi avanti col parto. Lei non entrò in scena a dirmi come respirare e spingere. Mi ha semplicemente lasciato essere. Il mio corpo ha spinto senza che io facessi alcuno sforzo.

Quando la mia bimba scivolò dolcemente dal mio corpo, come una saponetta bagnata stretta tra le mani, lei disse solo ‘ben fatto’. Non aveva nessun bisogno di controllare l’evento. Non aveva ‘investito’ nel far nascere la bimba e atteggiarsi da eroina. Se c’è un’arte dell’ostetricia, lei l’ha impersonificata. Una buona ostetrica permette ai genitori di fare da soli. Se un parto richiede una mano d’aiuto, l’ostetrica sa quando intervenire e dare suggerimenti alla donna che partorisce. Ma lo fa saggiamente.

Una buona ostetrica sa lasciare il suo bagaglio emozionale e le sue paure fuori la porta d’ingresso quando entra per un parto o una visita prenatale. Quando un’ostetrica entra nell’aura di una donna incinta…lei entra nello spazio sacro della mamma col bambino. Deve entrare come se si accingesse a oltrepassare la soglia di un tempio antico e sacro. Cioè con timore reverenziale.

[…]

sabato 18 ottobre 2008

Nell'intimo delle madri

"Ci è voluto molto tempo perchè capisse che l'ignoranza scientifica era un'apertura al sapere che il soggetto possiede per proprio conto. Accettare di non sapere significa abbandonare il mondo della ragione per consacrarsi a un sapere unico,quello che passa attraverso l'ascolto dell'inconscio."
Sophie Marinopuolos - Nell'intimo delle madri -Luci e ombre della maternità

giovedì 9 ottobre 2008

Gracias a la vida

Ogni tanto i fiori fioriscono.
Anche quando e dove meno te lo aspetti.

giovedì 2 ottobre 2008

piovono libri

Libreria per bambini – Via Solfatara, 8 – Parco Azzurro – POZZUOLI

PROGRAMMA DELLE ATTIVITA'
promosse dalla libreria “CION CION BLU”
nell'ambito del progetto nazionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
“OTTOBRE PIOVONO LIBRI”

DATA e ORARIO INIZIATIVA
Domenica 5 ottobre dalle ore 11,00 “Una domenica in libreria” - “Wau... il libro lo sento, lo ascolto, lo annuso, lo vedo e lo tocco”
Laboratorio estemporaneo per la realizzazione di un libro sensoriale curato da “Ludobus – Artingioco” della coop. Soc. Progetto Uomo ONLUS
età consigliata: dai 4 anni
INGRESSO LIBERO senza prenotazione


Mercoledì 15 ottobre ore 18,00 “Incontro ravvicinato con... la tarma MARTA”
Laboratorio/presentazione del libro “La bibliotecaria” con l'autore CLAUDIO CICCARONE e l'illustratore LUCA DALISI, in collaborazione con FANUCCI EDITORE
età consigliata: ragazzi e adulti
INGRESSO LIBERO senza prenotazione
Giovedì 23 ottobre ore 17,30 “Dall'idea al libro – Giallo Flegreo”
Come si arriva alla stesura di un romanzo dall'idea alla stampa con la partecipazione dello scrittore FRANCESCO CIRILLO
età consigliata: ragazzi e adulti
INGRESSO LIBERO senza prenotazione
Sabato 4, 11, 18 e 25 ottobre ore 17,00 – 18,30
(il laboratorio proseguirà con il medesimo orario fino al mese di maggio 2009) “Svela lo scrittore che è in te”
Laboratorio interattivo di scrittura creativa e poesia tenuto dallo scrittore VINCENZO GIARRITIELLO
età consigliata: dai 9 anni
ISCRIZIONE OBBLIGATORIA ENTRO IL 25 SETTEMBRE
QUOTA DI ISCRIZIONE: euro 30,00/mese
Martedì 7, 14, 21 e 28 ottobre ore 17,30 – 18,30 “Fiabalandia”
Lettura a voce alta di fiabe con animazione teatrale e utilizzo di muppets e burattini a cura di FRANCESCA MORANTE (burattinaia ed attrice) e ROSSANA CAPO (filosofa ed artista di strada)
età consigliata: dai 3 anni
ISCRIZIONE OBBLIGATORIA ENTRO IL 27 SETTEMBRE
QUOTA DI ISCRIZIONE: euro 30,00